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Tarek Aziz

Stefano Salvi è intervenuto a Pisa al Festival del Futuro migliore, in occasione del quale ha ritrovato Giulietto Chiesa. I reportage di inviati di guerra dei due reporter si possono trovare, insieme a quelli di altri autori come Franco Di Mare e Tony Capuozzo, si possono leggere nel libro edito da Zeli- Baldini e Castoldi “L'Informazione deviata”. Dal capitolo “La mia avventura in Iraq” di Stefano Salvi. Per dimostrare che io non ero per niente filo-Saddam, ho intervistato Tarek Aziz e gli ho fatto presente che il governo iracheno aveva una responsabilità enorme in questo dramma. Prima di partire per l'Iraq, mi sono messo d'accordo con Ricci che, man mano avessi raccolto del materiale, glielo avrei inviato giorno per giorno, perché non volevo fare la fine di Ilaria Alpi (giornalista del Tg3) che, per essersi tenuta tutto il reportage sulla Somalia, senza aver mai mandato un'immagine, è stata uccisa e derubata di tutto lo scottante materiale raccolto in loco. Comunque, sta di fatto che anch'io ho rischiato e non poco. Nel Sud dell'Iraq ci sono gli Sciiti, i quali sono in aperto contrasto con i Sunniti (si tratta di due opposte correnti dell’Islamismo) e, quindi, con Saddam che era sunnita. Ci vuol poco a travestire quattro americanotti da Sciiti e a far fuori un cronista. Tornando alla mia intervista a Tarek Aziz, va detto che i vertici iracheni si erano resi conto che nei miei servizi non parlavo di politica, bensì della popolazione e della grave situazione in cui versavano i civili. Così, quando ho espresso la volontà di intervistare Aziz, mi hanno risposto di sì. Faccio presente che di me sapevano tutto, da chi ero a quale ruolo avessi in quegli anni in Italia. Morale: arrivo e chiedo di parlare con Aziz. Mi accoglie il segretario di Stato. Non sapevo che esistesse un segretario di Stato in Iraq. A un certo punto mi fa accomodare in una sala dove c'era una gigantografia pazzesca di Saddam Hussein e, a lato, un quadro con un paesaggio fluviale. Il segretario di stato a questo punto mi chiede: "Dove vuole fare l'intervista? Qua o là?". E io dico "Là”, sotto il paesaggio fluviale. E penso tra me e me: lui sarà anche arabo, ma io sono mezzo napoletano. In quel momento lui mi chiede: "Come mai là?". E subito io: "Perché agli Italiani il tema fluviale ricorda molto Venezia e per gli Italiani Venezia è molto importante". Giuro: ho detto questa cretinata, però l’ho detta con estrema serietà. Allora lui ci riprova e mi dice "Ma perché non vuole fare l'intervista sotto la gigantografia di Saddam?". A questo punto gli ho detto fermo e deciso:” Se lei vuole che io faccia l’intervista qua, sotto il ritratto di Saddam, la faccio qua. Ma se Lei mi chiede dove la voglio fare, la faccio dove voglio io e non dove vuole lei. Cerchiamo di non prenderci in giro”. Chiaramente ho fatto l'intervista dove voleva lui ma, considerato che tra arabi e napoletani in quanto a furbizia è una bella lotta, per tutta l'intervista ho piazzato fra il ritratto di Saddam e la telecamera il traduttore in modo tale che nell’inquadratura coprisse interamente o quasi il ritratto del Rais. Archiviato il problema inquadratura, il segretario di stato mi ha indicato la scrivania alla quale si sarebbe seduto Tarek e io, secondo lui, mi sarei dovuto sedere di fronte. A quel punto gli dissi che io avevo un mio stile e che non avevo nessunissima intenzione di cambiarlo. Infatti, tutte le mie interviste le ho fatte con l’intervistato rigorosamente in piedi, perché fossero vere e non costruite come su un set cinematografico e quindi, se voleva essere intervistato, doveva farlo a modo mio. E’ stata la prima intervista in piedi della storia di Tarek Aziz! Tutto questo l’ho fatto per far capire agli Iracheni che non ero né condizionato né condizionabile da tutto il macchinoso ed elefantiaco apparato che avevano allestito per l’intervista. Insomma, volevo fare un’intervista vera, un’intervista alla Salvi e non una farsa decisa da loro. E tutto questo l’ho fatto in casa loro! Comunque, tornando all'intervista, a Tarek Aziz, ho fatto queste specifiche osservazioni e rivolto questa precisa domanda: "Ho visto che la gente per la strada vive letteralmente nella spazzatura. Ricorda quando da bambini giocavamo con la sabbia e il secchiello? Così i bambini iracheni giocano con il secchiello e la spazzatura; giocano con la coda dei topi come noi giocavamo con la coda del gatto. E la spazzatura in alcune città raggiunge il metro di altezza coprendo stradine, strade, vialetti, viali, piazze e piazzette e mercati, con le capre che brucano un po’ di spazzatura fra un topo e l’altro e i bambini a trenta centimetri che giocano. Se consideriamo che le medicine sono inesistenti perché, almeno, non fate smaltire tutta la spazzatura che c'è sulle strade per prevenire la diffusione delle malattie e poi non mettete a punto un piano di profilassi?”. E lui mi ha risposto: “E’ colpa degli Americani. Perché non ci permettono di avere i macchinari per pulire le strade e raccogliere la spazzatura e, quindi, siamo costretti a vivere in queste condizioni”."Non è vero - ho replicato immediatamente - perché io sono passato da casa sua e il quartiere in cui lei vive è pulitissimo. Nel pieno centro di Baghdad ci sono due strade lunghissime che si incrociano, abitate da soli ricchi, che sono altrettanto pulite. L'albergo in cui io sto è in una zona pulitissima”. A questo punto il traduttore non voleva più continuare a tradurre. Allora sono andato avanti io e ho tradotto da solo. Tarek Aziz mi ha risposto: “Sì è vero, io abito in una zona tranquilla e pulita, ma pago la municipalità". "D'accordo – l’ho incalzato - allora lei deve pagare la municipalità non solo per se stesso ma anche per tutta la sua popolazione". E gli ho anche detto: "Voi usate gli Americani come alibi, così come gli Americani usano come alibi Saddam". La cosa paradossale è che, terminata l’intervista, ho rincorso Tarek Aziz nel corridoio del palazzo presidenziale, appellandolo “Scusi Tarek”, per raccomandargli un appartenente ai servizi segreti, che mi aveva fatto da scorta per tutto il periodo della mia permanenza in Iraq. Io, che non ho mai raccomandato nessuno, dovevo farlo proprio in Iraq nel palazzo di Saddam! Nel 1991 a pochissimi giorni dalla fine della guerra in Iraq, gli Americani sono arrivati a dieci chilometri da Baghdad e avrebbero avuto la possibilità di fare fuori Saddam.Come mai non lo hanno fatto? La risposta è semplice. Perché se Saddam fosse stato eliminato allora, con chi diavolo avrebbero potuto prendersela negli anni successivi? Come avrebbero fatto, senza lo spauracchio di Saddam, a giustificare la loro presenza costante in una zona strategica come quella dell'Iraq?
 
 
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